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Autore
Dott.ssa Valentina Villani, psicologa e psicoterapeuta - in collaborazione con alcune colleghe di SinergEtica

Prendersi cura o medicalizzare? 

Considerazioni sulla fluidità di genere

 

1. Introduzione

Negli ultimi anni il tema dell’identità di genere ha acquisito sempre più attenzione e visibilità mediatica. Tanti sono gli ambiti che ne sono stati influenzati, basti pensare alla scrittura (tutt*, bambin*), alle pubblicità, alla Carriera Alias (1) nelle scuole e negli ambienti sportivi, alla medicina (in particolare farmacologia e chirurgia plastica). 

Dagli anni ‘60 ad oggi si è formato un vero e proprio movimento di opinione, largamente finanziato da un’ampia gamma di enti privati e non governativi (banche, fondi speculativi internazionali, fondazioni private, aziende del settore medico, farmaceutico e tecnologico,...) che ha influenzato profondamente la stampa, le associazioni mediche e psicologiche, i sistemi educativi e che è stato definito dai suoi oppositori teoria gender. Questa visione sostiene che il genere di una persona non sia dato dal sesso anatomico, ma sia indipendente dal dato biologico (il genotipo XX o XY) e determinato unicamente dalla percezione soggettiva. 

Uno degli scopi di questo movimento è stato anche quello di contrastare le false credenze e le discriminazioni subìte dalle persone transessuali o non binarie, che costituivano fino a poco tempo fa una piccolissima percentuale di popolazione adulta e prevalentemente di sesso maschile, compresa tra lo 0.005 e lo 0.014%, con insorgenza in età infantile, mentre oggi la disforia di genere sta diventando un fenomeno in crescita esponenziale che riguarda soprattutto le adolescenti femmine. Alla luce di ciò che accade oggi appare lecito domandarsi se questo sia effettivamente l’unico obiettivo o se la corrente di pensiero che avanza non stia di fatto promuovendo qualcosa che abbia poco a che fare con la tutela e il benessere delle persone. 

Non discriminare significa permettere alle persone di poter vivere dignitosamente e con la stessa libertà di tutti gli esseri umani al di là delle proprie credenze culturali, religiose, politiche e del proprio orientamento sessuale (2), significa contemplare e accogliere la diversità nell’orizzonte condiviso del rispetto e del riconoscimento reciproci. Altra cosa è invece adottare un’unica direzione per tutti, dettata da una esigua minoranza, azzerando proprio le differenze che i diritti umani dovrebbero sostenere. Da questo punto di vista non appare allora una forzatura sostituire i termini bambini o bambine con bambin*, in nome di una presunta maggiore inclusività ignorando il dato biologico e psicologico? E’ davvero inclusivo l’atteggiamento che di fronte a comportamenti non del tutto corrispondenti agli stereotipi di genere insinua nei bambini il pensiero che forse sono nati nel corpo sbagliato? Appare sensato spingere ragazzi adolescenti, che vivono già una profonda crisi identitaria, a decidere interventi medici irreversibili sul proprio corpo, in grado di condizionare tutta la  loro vita? Questi sono alcuni degli interrogativi che ci hanno portato a riflettere su ciò che sta accadendo oggi nel mondo, a domandarci se risponda realmente ad un bisogno dei giovani cancellare la differenza naturale tra maschio e femmina, sulla quale è fondata la famiglia tradizionale e che è indispensabile per la riproduzione o se invece sia importante ri-partire da ciò che la natura ci ha dato. 

Se andiamo a guardare al significato della parola “gènere”, essa viene dal latino genus nĕris, è affine a gignĕre che significa generare e proviene a sua volta dalle voci del greco : γένος = genere, stirpe; γένεσις = origine; γίγνομαι = nascere; nell’etimologia del termine il riferimento al concetto di origine e all’azione di generare, nascere o essere generati è più che esplicito.  Se da un lato siamo fermamente convinti che il sesso di nascita possa non determinare da solo quello che poi sarà l’orientamento sessuale della persona, ci sembra anche molto importante il riconoscimento di questo dato iniziale, proprio in quanto origine psico-biologica dell’identità personale. L’incongruenza tra il sesso cromosomico (assolutamente immodificabile) e i comportamenti o le preferenze che la società attribuisce per via culturale ai maschi e alle femmine (il genere, appunto), che è un problema reale e anche motivo di profonda sofferenza psicologica, non si risolve cancellando semplicemente il sesso e sostituendolo con il genere percepito.

 

C’è un altro fattore per noi molto importante da considerare per comprendere ciò che sta accadendo: la tendenza ad affidarci sempre più alle linee guida del sistema sanitario internazionale a sua volta largamente finanziato e condizionato dalle imprese private e dai loro interessi commerciali. Nell’arco di due millenni il senso del termine terapia si è completamente ribaltato: si è passati dal significato originario del ‘prendersi cura’ al ‘curare’. Terapia infatti deriva dal greco Terapehia che significa servizio, mettersi all’ascolto dell’altro. La cura oggi è invece diventata sempre più la somma di trattamenti e somministrazioni riferite ad un oggetto chiamato paziente, piuttosto che riflettere una condizione soggettiva di sollecitudine e di preoccupazione. Un rovesciamento che si è attuato gradualmente, in particolare con la professionalizzazione della medicina e con i rilevanti interessi economici connessi con l’erogazione dell’attività sanitaria (3).

Lungi dal sostenere che la medicina - e i farmaci - non abbiano la loro utilità, è da domandarsi se la generale tendenza alla medicalizzazione ci aiuti davvero a “guarire” o porti piuttosto ad un allontanamento sempre più marcato dal processo di consapevolezza di sé e del proprio corpo.

 

2. Breve inquadramento storico

Ma quando è iniziato il processo di trasformazione sociale che è oggi sotto i nostri occhi?

Il termine transessuale fu introdotto nella Germania degli anni ’20 quando il Dott. Hirshfeld, egli stesso omosessuale, sostenne che ogni essere umano contenesse parti femminili e parti maschili e che in base alla proporzione tra le due parti si colloca all’interno di un continuum dove i due estremi sono identificati dagli stereotipi maschio-femmina della cultura del tempo. Questa teorizzazione avvia un processo di astrazione del sesso, non come una realtà biologica data dai gameti prodotti fin dal concepimento, ma come un concetto arbitrario, una costruzione. Da quel momento si inizierà a parlare sempre più di genere e non di sesso, quest’ultimo inteso come “sesso assegnato alla nascita” (4).

Ma è negli anni ’60, con il lavoro in America dello psicologo neozelandese John Money che la concettualizzazione del sesso ha compiuto una grande trasformazione. Il genere (gender) come costrutto psicologico si disgiunge letteralmente dal sesso biologico, comportando che ognuno possa scegliere cosa essere al di là del proprio patrimonio genetico. Money, considerato il fondatore della teoria gender, sosteneva che il genere non sia altro che una costruzione sociale: basta aderire a stereotipi femminili entro i 30 mesi di vita per diventare una femmina o viceversa. Egli trattò diversi bambini con anomalie sessuali, sottoponendoli a operazioni chirurgiche in tenera età, convincendo i genitori a comportarsi secondo il genere scelto e inserendo pesanti terapie ormonali. La sua teoria ebbe comunque una grande sconfitta con il caso dei fratelli Rymer (si veda la bibliografia).

Se Money comunque sostenne che l’identità di genere fosse plasmabile fino al trentesimo mese e poi diventasse immutabile, successivamente si è fatta strada l’idea che l’identità di genere fosse innata e che semplicemente non coincidesse con il sesso (e il corpo) biologicamente dato. E’ negli anni ’90 che si arriverà a sostenere che l’uomo è chi si identifica con il genere maschile e la donna è chi si identifica con il genere femminile, a prescindere dal corpo. Esemplare è stato lo slogan del tempo “trans women is women” (la donna trans è donna) dell’attivista transessuale Julia Serano. 

Questa trasformazione ha comportato ovviamente altri cambiamenti che riguardano da vicino anche la nostra professione e la tutela della salute delle persone.

3. L’approccio affermativo alla disforia di genere

Negli ultimi decenni l’esplosione numerica della disforia di genere tra gli adolescenti e i giovani adulti ha portato alla diffusione del modello affermativo di genere. L’approccio affermativo (5) parte dal presupposto che la scelta identitaria e l’orientamento sessuale non vadano più patologizzati ma accolti senza pregiudizi. Concordiamo con questo punto di vista che dovrebbe essere l’unico modo per poter davvero aiutare le persone nelle loro difficoltà. Nella pratica però l’approccio affermativo ha spesso preso una posizione sia incoraggiando chi non si riconosce nel proprio sesso biologico a intervenire farmacologicamente e chirurgicamente che convincendo i genitori che la crisi si esaurisce nel momento in cui si appoggia il coming out e si interviene con una azione concreta di cambiamento. Da diverse testimonianze (6) di famiglie seguite da professionisti dedicati, emerge che molto spesso viene anticipato uno scenario drammatico (per esempio, la possibilità di suicidio) se non si sostiene il desiderio di coming out del figlio, come se il percorso di transizione fosse l’unico “salvavita” (7). 

I professionisti della salute che si occupano della disforia di genere dovrebbero, secondo l’approccio affermativo, appoggiare la crisi identitaria di un bambino/ragazzo e sostenere e incoraggiare i genitori verso la direzione che dovrebbe risolvere la crisi. La terapia così intesa ha poco a che fare con la presa in carico di un bisogno individuale, ma identifica come cura l’allineamento del corpo al genere percepito. Sottolineiamo che oggi tali interventi sono possibili soltanto per l’evoluzione che ha coinvolto la medicina e la chirurgia estetica ma se una cosa è possibile non è detto che sia buona, soprattutto considerando le numerose testimonianze tutt’altro che rassicuranti fornite da persone e famiglie coinvolte in una transizione di genere.

Nelle linee guida del Wpath (8) pubblicate sul sito dell’ISS “Standard di cura e salute per le persone transessuali, trans gender e non-conforme” (9) vengono elencate le buone prassi per i professionisti che prendono in carico le persone con questa problematica. Appare abbastanza allarmante il fatto che, nonostante si rammenti che la disforia di genere in età pre-puberale e in adolescenza per la maggior parte dei casi si risolva in età adulta, il trattamento previsto sia anche assumere bloccanti della pubertà in età puberale (10), con il fine di attendere l’eventuale decisione definitiva che si attua poi con chirurgia estetica ed ormoni mascolinizzanti/femminilizzanti. I bloccanti della pubertà sono indicati come terapia reversibile anche se ad oggi non esistono studi a lungo termine che possano dimostrare l’attendibilità di questa affermazione. Non poche ricerche mostrano invece che, bloccando il processo naturale di sviluppo, possono venire compromesse alcune funzionalità, come ad esempio lo sviluppo degli organi sessuali (nel momento in cui la persona decida di fare una detransizione e tornare al “sesso assegnato alla nascita”), la fertilità (si tratta di farmaci sterilizzanti), la crescita delle ossa e del cervello, il sistema cardiovascolare, l’altezza. C’è quindi a nostro avviso una imprudente promozione di terapie farmacologiche a discapito di una riflessione più ampia che abbia davvero a cuore il benessere duraturo dei ragazzi.

4. L’identità oltre la divisione mente-corpo

A partire dalla dicotomia cartesiana si è operata una netta distinzione tra mente e corpo. Tuttavia diversi studi e contributi sia psicologici che filosofici si sono esposti per affermare che l’identità sia primariamente l’identità corporea. Ciò vuol dire che l’identità come appare a noi stessi (il sentimento dell’identità) è fondata su come appare a noi il nostro corpo. Questa immagine può non corrispondere al nostro corpo effettivo, ma rappresenta la realtà del nostro corpo vissuto e comprende una valutazione, che contribuisce potentemente a determinare il nostro livello di autostima (il corpo è bello, brutto, forte, debole…). Quando si parla di corpo non si parla di un oggetto che possediamo - da mercificare, mutilare, modificare - ma di ciò che siamo. Si comprende, quindi, come i cambiamenti del corpo nel suo sviluppo, in particolare quelli che si verificano nella pubertà e poi nella senescenza, rappresentino delle autentiche crisi di identità. Proprio la potenza dei cambiamenti che travolgono lo sviluppo del corpo di una persona adolescente e che coinvolgono la sfera somatica, quella sessuale e quella psico-sociale costituiscono il terreno di base da cui origina una crisi identitaria, necessaria al procedere di uno sviluppo fisiologico tanto quanto delicata. 

Risalire al significato etimologico della parola crisi, dal greco “scegliere”, “separare”, ci permette di mettere in evidenza come le crisi rappresentino dei momenti di decisione, dei punti di svolta, non necessariamente funesti e disastrosi, ma funzionali ad innescare processi di crescita e di cambiamento, di ri-nascita. In particolare nella crisi che caratterizza l’adolescenza, i molteplici cambiamenti in corso mettono sotto pressione la persona coinvolta portando con sé confusione, smarrimento, emozioni, vissuti altalenanti e dubbi; si evidenzia perciò il bisogno degli adolescenti di essere sostenuti e guidati mentre fanno nuove esperienze, più o meno in discontinuità rispetto al contesto familiare di riferimento. Gli studi più recenti in ambito neurofisiologico sullo sviluppo cerebrale mettono in evidenza come, durante questo lungo e complesso periodo di transizione dall’infanzia all’età adulta, il cervello sia sottoposto ad un profondo lavoro di ristrutturazione che lo rende particolarmente plastico e pronto a ricevere stimoli, ma nello stesso tempo lo rende più fragile e vulnerabile. Inoltre, la corteccia prefrontale, deputata al controllo delle funzioni cognitive di alto livello, quali la capacità di ragionare in modo critico e con giudizio, controllare gli impulsi, pianificare, organizzare il pensiero e decidere l’ordine delle priorità, comprendere le intenzioni e il punto di vista altrui (empatia), raggiunge la sua piena maturazione tra i 25 e i 30 anni, in modo progressivo. Per tale ragione, gli adolescenti ci appaiono governati più dall’azione che dalla riflessione, dalle emozioni più che dalla ragione, anche perché è in questa fase che il sistema limbico, deputato all’elaborazione delle emozioni, raggiunge invece il suo apice di sviluppo. In questa fase l’importanza del ruolo dell’adulto sta proprio nell’affiancare, sostenere e ragionare con la persona adolescente e accompagnarla mentre procede lo sviluppo psico-fisico e delle aree cerebrali corrispondenti. Questo può voler dire anche sostenere la persona adolescente a sostare nel non ancora noto, nel dubbio, nella frustrazione e a tollerarne i vissuti angoscianti, piuttosto che spingersi verso un agire e un decidere impulsivo che, per tutto ciò che abbiamo messo in evidenza, rischia di essere pre-maturo, soprattutto quando irreversibile. Alla luce di ciò ci colpisce come tra i criteri indicati nelle linee guida del WPATH per la prescrizione di una terapia ormonale ci sia la capacità di prendere una decisione pienamente consapevole, mentre la psicoterapia non sia requisito indispensabile per poter accedere a trattamenti ormonali o chirurgici. 

Certamente esistono situazioni in cui la sofferenza di questa crisi identitaria sia molto intensa e si renda necessario l’intervento di un professionista, ma è fondamentale avere chiaro l’obiettivo terapeutico.

5. Quale cura?

E’ abbastanza evidente che se ci occupiamo soltanto di uno o dell’altro versante dell’identità - mente o corpo - non stiamo di fatto permettendo una importante integrazione, necessaria ad una evoluzione armonica dell’essere umano. La pretesa odierna è quella di risolvere un disagio trasformando il corpo, come se fosse un orpello che ha bisogno di aggiustamenti a nostro piacimento. Da questo punto di vista il benessere rimane dipendente da interventi esterni, chirurgici e farmacologici, una via certamente percorribile ma che non lascia spazio ad altre prospettive. Siamo sicuri che la via più giusta sia quella di modificare in modo irreversibile il corpo biologico in maniera medicalizzata e con ripercussioni anche devastanti? Quanto può valere invece un benessere ricercato attraverso tutta la nostra esistenza, in un continuo adattamento intimo, personale e creativo che si impegna a trovare armonia attraverso ciò che gli è dato e attraverso ciò che desidera esprimere, in una prospettiva accogliente, profonda e senza scorciatoie? Quando la persona sceglie di conoscersi e di affrontare le paure e i disagi che percorre sceglie di cercare da sé la propria felicità e di non farla dipendere da altro o altri: questa allora diventa meno effimera ma vissuta, reale, integrata con tutto ciò che siamo, fuori e dentro. Rifacendoci all’antico termine di cura, noi affermiamo che non possa esserci un protocollo terapeutico uguale per tutte le persone che esprimono lo stesso sintomo o disagio, se non attraverso la sollecitudine nel comprendere la storia di significati e di vissuti di quella precisa persona.

La psicologia in particolare ha portato nel tempo l’attenzione sui significati dei sintomi presentati dalle persone che richiedono aiuto, poiché il problema non coincide sistematicamente con il sintomo. Ci chiediamo quali ipotesi fare davanti ad un ragazzo confuso rispetto alla propria identità sessuale o che si identifica con il sesso opposto: è questo il problema o potrebbe essere la risposta individuata per trovare soluzione ai disagi che sta vivendo in una situazione specifica? Certo, ci vuole attenzione e pazienza per tentare di comprendere cosa stia accadendo ad un bambino o ad un ragazzino che soffre ed è proprio la velocità, la standardizzazione e la tecnicizzazione che ci allontanano sempre di più da questa analisi attenta. La velocità ci porta a desiderare risposte pronte all’uso, la calma al contrario richiede un pensiero paziente e prospettico, capace di tollerare anche il dolore e la frustrazione. Intendiamo la cura come un percorso di accompagnamento personalizzato e rispettoso del momento evolutivo del ragazzo e della sua famiglia. Il prendersi cura stimola e sollecita a riprendere in mano la propria vita: le insicurezze, le incongruenze, la propria storia; favorisce il riconoscimento e l’utilizzo delle proprie risorse nel rispetto dei tempi  e necessità di ciascuno. Occorre un lavoro gentile che permetta alla persona di ritornare al centro della propria esistenza, scegliendo verso quale strada proseguire, con qualche strumento in più. Riteniamo che l’accoglienza, soprattutto nei confronti di noi stessi, rappresenti la strada maestra per trovare la centratura e la serenità. Invitiamo pertanto tutti gli adulti che fungono da educatori a non spaventarsi di fronte alle soluzioni paventate dai ragazzi, a non correre verso una direzione per togliersi dal disagio, ma ad aiutarli a decifrare il loro mondo - ciò che provano, sentono, vivono - a imparare a so-stare con loro per tornare a prenderci davvero cura delle relazioni.

 

 

 

 

Legenda

1. Carriera Alias

La carriera alias è un accordo di riservatezza tra la scuola e gli studenti o gli insegnanti trans che permette loro di chiedere la modifica del proprio nome anagrafico con quello elettivo (“alias” appunto). Non ci sono ancora linee guida uguali per tutti, ma finora lo si è pensato per le persone che stanno attuando una transizione di genere. Per i minorenni è necessario l’accordo tra famiglia e scuola. Tale prassi consente l’utilizzo del nome prescelto per libretto personale, registro elettronico, mentre invece rimane il nome anagrafico per documenti di valutazione, diplomi o altre certificazioni esterne. Insieme a questo provvedimento possono essere concordate altre buone prassi, fra cui l’uso di spazi sicuri (scelta del bagno, dello spogliatoio, etc.) per la/lo studente trans, al fine di evitare episodi di violenza, discriminazione e bullismo.

Carriera alias | Edscuola

Contratto scuola, università e ricerca: clausola su identità alias presente in tutti i contratti pubblici - Miur

2. DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI

3. tratto dall’intervista di Umberto Curi, sul Corriere della Sera 29/07/2015 in riferimento al suo saggio “Le parole della cura. Medicina e filosofia, 2017 ed. Cortina”. 

4. tratto dal video di Elisa Boscarol “La storia dell’ideologia gender dagli anni ’30 ai giorni nostri” sul canale telegram Il Mondo Nuovo 2.0 (16 novembre 2023)

5. (PDF) Adattamento italiano delle “Linee-guida per la pratica psicologica con persone transgender e gender nonconforming” dell’American Psychological Association 

“Anche in riferimento al lavoro clinico con persone transgender e gender non-conforming, sia la World Professional Association for Transgender Health (WPATH, 2011) che l'American Psychological Association (2015) -le cui linee-guida per la pratica psicologica con persone transgender e gender non-conforming sono state tradotte in italiano da Valerio et al. (2018) -hanno incoraggiato la pratica affermativa come offerta di cura rispettosa, consapevole e supportiva delle differenti declinazioni identitarie e delle esperienze di vita di tali persone, sottolineando l'importanza dell'adozione di una visione non dicotomica del genere. Rivolto alle persone transgender, l'approccio affermativo si propone quale intervento volto a favorire l'esplorazione della propria dimensione identitaria, tenendo conto dei molteplici aspetti che concorrono ad organizzarla (sesso biologico, identità e ruolo di genere, orientamento sessuale) e della pluralità di fattori (biologici, psicologici, interpersonali, sociali e culturali) che in modo sinergico e interrelato contribuiscono a delinearla.”

 

6. vedi testimonianze su  www.generazioned.org 

7.La terapia affermativa per le persone LGBQ: quali caratteristiche la rendono efficace? 

8. (WPATH) World Professional Association for Transgender Health 

9.Standard di Cura per la salute di persone transessuali, transgender e di genere non-conforme - ISS 

10. Farmaci off-label: I farmaci off-label sono farmaci che vengono impiegati, nella pratica clinica, per il trattamento di patologie e disturbi non previsti nel riassunto delle caratteristiche del prodotto (documento autorizzato dal Ministero della Salute che fornisce informazioni per gli operatori sanitari su come utilizzare un medicinale in modo sicuro ed efficace).

Facciamo chiarezza sulla questione dei bloccanti della pubertà per minorenni transgender | Scienza in rete 

 

Bibliografia

Bonino, S. (1994). Dizionario di psicologia dello sviluppo. Einaudi, Torino

Colapinto J. (2000). Bruce, Brenda e David. Il ragazzo che fu cresciuto come una ragazza. (Per approfondire la storia del fratelli Rymer).

Hooper T. (2015). Film: The Danish Girl (tratto dalla vicenda dell’artista Einar Wegener che il Dott. Hirshfeld operò chirurgicamente per trasformarlo in Lili Elbe)

Joyce H. (2022). Trans. Oneworld Publications

Perruchietti E., Marletta G. (2015). Unisex. Cancellare l’identità sessuale: la nuova arma della manipolazione globale. Arianna Editrice.

Siegel, D.J. (2014). La mente adolescente. Raffaello cortina Editore, Milano

 

 

 

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