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Autore
Sabina Pia Vallerga, Psicologa-Psicoterapeuta e Alessandro Campailla, Psicologo-Psicoterapeuta-Fisioterapista, firmatari del Comunicatopsi.

ATTENTI AL LUPO!

Dai tempi dei tempi le fiabe, i miti e le leggende, hanno avuto la funzione di trasmettere, in modo simbolico, i percorsi per uscire sani e salvi dalle situazioni difficili della vita vissuta. Gli Archetipi sono forme primordiali che ci riportano al principio primo della creazione, che dialogano direttamente con la nostra anima attraverso molteplici linguaggi come le geometrie sacre o le armonie musicali o, in questo caso, attraverso simbologie riportate nelle storie che raccontiamo ai bambini. È un antico e sapiente stratagemma per trasmettere significati direttamente all’inconscio, in modo che l’Io cosciente, che tutto vorrebbe tenere sotto controllo, ne venga un po’ escluso e lasci passare senza accorgersene, i segreti per liberarci del problema lupo cattivo.

Tantissimi sono gli autori che nel tempo hanno scritto e riportato fiabe, leggende e narrato di miti e molti sono stati gli studiosi della psiche che ne hanno analizzato i contenuti, primo fra tutti Freud. Ma fu soprattutto Jung che, partendo dallo studio dei miti e degli archetipi, elaborò le teorie sull’immaginale che,  dopo James Hillman, suo allievo, hanno colto il potere delle storie antiche, sviluppandosi in diversi approcci terapeutici (1). Le fiabe, come ci spiega Bruno Betthelheim (2), ci insegnano a sviluppare la capacità di trasformare i significati. Potremmo dire che possiedono il potere di rielaborare evidenze della realtà non altrimenti riconoscibili, che contengono, in chiave di metafora, tutta la potenza del messaggio che vogliono veicolare. Per esempio, la morte di una individualità ritenuta positiva, tuttavia vecchia e inadeguata, prelude spesso ad una sua rinascita in un piano di esistenza superiore (ibid.). Se la “morte” per il linguaggio dell’Io cosciente è qualcosa di terrificante e assoluto, da cui non si torna indietro e che ci fa perdere gli affetti a cui eravamo legati, attraverso il linguaggio inconscio simbolico può raggiungere una funzione trasformatrice e ricondurci ad una dimensione più profonda e connessa ai misteri dell’anima.

Ecco che in questo frangente in cui il pericolo si manifesta sotto forma di contraddizioni, tra continue notizie allarmanti, voci controcorrente e l’evidente tentativo di restrizione delle libertà costituzionali, le fiabe possono indicarci la strada facendo luce su quella parte intuitiva e primordiale della nostra memoria, che ha conosciuto la sicurezza e la protezione dai pericoli e che ne reclama il ritorno, nel vivere quotidiano e nel poter guardare lontano con la saggezza che è propria delle narrazioni fiabesche.

E allora, vediamo come nasce e cresce il bambino e come si formano le strutture psichiche che gradualmente lo condurranno a vivere la sua vita autonoma. Il suo “viaggio” inizierà con un Io indistinto che avrà il compito di elaborare e comprendere la realtà esterna, avrà meccanismi automatici di sopravvivenza, ma il suo “Essere” completo si manifesterà quando sarà in grado di sviluppare un pensiero autonomo e discernere tra possibili risposte volontarie non più automatiche frutto di un copione prestabilito.

Come in una fiaba, il primo problema del piccolo essere umano appena nato è quello di sopravvivere in un mondo di “giganti” dai quali è completamente dipendente e di imparare il più velocemente possibile a interpretare il mondo intorno a sé in modo da comprendere e riuscire a prevedere i comportamenti degli adulti. Per fare questo, la natura dota il piccolo di uno “zainetto” carico di capacità reattive automatiche, tra cui comportamenti riflessi innati ed emozioni inconsce, processi mentali di base inizialmente inconsapevoli, di cui gradualmente, diverrà sempre più padrone, sperimentandone la capacità di controllo e l’utilizzo consapevole.

Di seguito alcuni esempi. È frequente notare il gesto riflesso del neonato di stringere la manina quando stimolato sul palmo, in gergo tecnico chiamato grasping. Questo gesto sembra derivare dall’istinto di salvaguardia della specie di fronte a un pericolo imminente. Infatti, da un punto di vista filogenetico, in risposta ad un movimento repentino e inaspettato della madre a fronte di un pericolo, il riflesso di presa alla pelliccia garantisce la salvezza del neonato.

Un residuo di questo istinto dura qualche mese, poi il piccolo umano impara a stringere la mano a seconda del suo bisogno e perde l’automatismo. Un altro riflesso innato del neonato consiste nel conservare per alcuni mesi l’istinto di andare in apnea se cade nell’acqua, come anche l’azione di piangere e strillare quando prova sensazioni sgradevoli, che serve a provocare risposte sollecite nei genitori che lo accudiscono. Ogni mamma sa che esiste il “sorriso riflesso” nei primissimi giorni di vita del bimbo. René Spitz, psicoanalista austriaco, è stato il primo ad analizzare il passaggio dal sorriso riflesso a quello provocato da qualsiasi volto, evidenziando come poi, esaurita la fase del riflesso, il sorriso si manifesti solo di fronte a volti conosciuti (3).

Oltre ai riflessi esistono alcuni processi di elaborazione della realtà, di forma cognitiva preverbale, che aiutano il bambino nel primo difficile compito di interpretazione dei significati da attribuire alle cose intorno a lui. Il processo detto di modellamento in PNL, per esempio, permette alla realtà di essere compresa in schemi cognitivi riconducibili ad eventi familiari, già divenuti interpretabili attraverso costrutti personali e suscettibili di ulteriori espansioni (4). Questi, come gli automatismi del neonato sopra descritti, sono processi che in un prossimo futuro, il bambino divenuto adulto potrà “decidere” (5) di utilizzare in maniera funzionale o, come può accadere per difesa, in maniera disfunzionale: ad esempio l’esperienza di sofferenza in una relazione potrebbe portare ad una crescita di responsabilità dell’esperienza personale e della consapevolezza rispetto a ciò che si vuole o non si vuole nelle relazioni affettive (modalità funzionale) ma potrebbe anche indurre ad una chiusura e ad impedire di intraprendere nuove relazioni perché ritenute “tutte” portatrici di sofferenza (modalità disfunzionale).

Il passaggio evolutivo ontogenetico procede quindi da pattern inizialmente programmati come risposte adattive — che hanno lo scopo di salvaguardare la specie — verso comportamenti che vengono appresi per assecondare le necessità dello sviluppo di costruire risposte evolute, in sostituzione di quelle automatiche.

Le competenze più evolute del cervello umano sono garantite dalla neocorteccia, che possiede la funzione specie-specifica di analizzare gli stimoli percepiti e di metterli simultaneamente in contatto con il vissuto emozionale, per poi fornire i dati per una scelta autonoma. Questa risulta da una sintesi di elaborazione operata dai tre cervelli (rettiliano, mammifero e neocorticale) e non viene dettata unicamente da risposte automatiche che potrebbero risultare, come abbiamo già visto, disfunzionali. Al tempo stesso, teniamo conto che l’automatismo istintivo di base continua ad essere attivo, seppur inibito dal sistema superiore in quel momento prevalente, l’io cosciente, per cui quando ci sentiamo fortemente minacciati per qualcosa che può procurare dolore o mettere in pericolo la nostra integrità fisica, la salute o la vita stessa, accade che la neocorteccia abdichi in favore dell’emergenza e i processi decisionali lascino il passo al sistema istintivo e automatico connesso alla sopravvivenza.

Il bisogno di sicurezza, allora, è alla base del meccanismo di sopravvivenza e quando si verifica un senso di minaccia per l’incolumità personale e per la vita, si attiva la ricerca immediata di qualunque cosa a cui potersi aggrappare pur di uscire da quello stato di paura e poter ristabilire un senso di equilibrio. Qualsiasi bambino, infatti, di fronte ad una paura improvvisa ricerca immediatamente la mamma. Le celebri ricerche di Harry Harlow, compiute tra gli anni 50 e 60 del secolo scorso su alcuni primati (6), hanno mostrato come la rassicurazione sia data dal calore della mamma e dal rifugio rassicurante che può trovare in lei, non connesso ad altri bisogni legati alla sopravvivenza come il cibo. Oppure pensiamo a un gatto che si accorge improvvisamente di trovarsi di fronte a un cane: sarà immediata la ricerca di sicurezza sopra un albero su cui arrampicarsi il più in fretta possibile. Il gatto, esattamente come il piccolo uomo, di fronte al pericolo, non ha il tempo di ragionare, pensando a cosa sia meglio o se ci siano strategie in grado di convincere il cane che non sarebbe un buon pasto! Non appena il bambino è tra le braccia della mamma e il gatto è sull’albero al sicuro, i due sistemi biologici ed emotivi interni torneranno in equilibrio e la situazione stressogena avrà fine, restituendo il controllo del comportamento alla coscienza.

Dunque, la paura, il pericolo, orientano immediatamente alla ricerca di un appoggio esterno, infatti, i bambini, “bombardati” in questo periodo da continui messaggi di minaccia alla vita, hanno percepito l’insicurezza non tanto del virus in sé, quanto delle paure che hanno ritrovato negli adulti di riferimento, come testimonia il recente studio (7) condotto presso l’Ospedale Gaslini di Genova, in cui emerge che nel 65% di bambini di età minore di 6 anni e nel 71% di quelli di età compresa tra 6 e 18 anni, sono insorte problematiche comportamentali e comportamenti regressivi.

In ogni fiaba che si rispetti, c’è sempre una immagine guida, una forza buona che viene in aiuto del nostro Eroe: il cacciatore che salva la vita a Biancaneve, la Fata Turchina in Pinocchio, la madrina di Cenerentola e tanti altri ancora, ma se gli adulti, che hanno funzione di guida, non si attivano secondo il giusto archetipo e rimangono anche essi schiavi di un incantesimo, cosa accadrà a questi bambini, privati di un riferimento così fondamentale?

Per aiutare i più piccoli bisogna dunque lavorare sulle paure arcaiche che mettono la psiche degli adulti in condizione da non poter fungere da risorsa per i più piccini, bisogna riattivare la capacità degli adulti di filtrare le notizie e mettere i figli al riparo dall’eccesso mediatico e, per far questo, sono necessarie diverse azioni di rassicurazione consapevole basate su notizie equilibrate, ma soprattutto veritiere. Bisogna, inoltre, lavorare sulle cause, tra cui la paura della morte che viene al contrario innescata dal permanere dello stato di stress scatenato dalle irresponsabili notizie che riportano costantemente bollettini di “nuovi positivi”, presentati come se fossero malati gravi o untori, insieme alle continue minacce di ritorno al blocco delle attività sociali. Queste atrocità, presentate come normali, in cui la scuola invece di essere il centro sociale allargato della comunità infantile e adolescenziale, sede della cultura e della educazione, diventa un luogo in cui non ci si deve più toccare, guardare, respirare…

Ebbene, tutta questa comunicazione così insistentemente veicolata dai media, sta determinando gravi conseguenze sull’equilibrio psicosomatico sia dei bambini che degli adulti.

Siamo organismi complessi in cui i processi psichici si traducono a livello somatico attraverso un principio olistico, vale a dire che ad ogni convinzione e pensiero, corrispondono sentimenti ed emozioni, che si traducono simultaneamente in modificazioni somatiche coerenti. Pensare che si possa curare un corpo e guarirlo, escludendo la psiche da questo processo è follia, come è scientificamente anacronistico ritenere che la paura e gli stati di stress non abbiano nessun effetto sulle risposte fisiologiche connesse agli stati di malessere, a sintomi e a malattie.

Nonostante la comunità scientifica abbia verificato che il virus Sars-Cov-2 non comporta un pericolo per i più giovani (v. Istituto Superiore di Sanità — link qui) e che questi nemmeno, pur divenendo positivi, potrebbero essere contagiosi se non in minima percentuale, assistiamo ugualmente al terrorismo fomentato dalle istituzioni e dalla disinformazione, che instillano giorno per giorno paure irrazionali attraverso le misure di distanziamento, le quali possono, queste sì, divenire la vera causa di problemi alla salute.

La mancanza di riferimenti rassicuranti e di allarmismi continui prodotti dagli adulti, che per il bambino sono modelli da seguire, avranno forti ripercussioni sul loro futuro con il serio rischio di generare comportamenti disadattivi, antisociali e anaffettivi, per la mancanza di capacità di lettura dei codici espressivi visivi (8, 9) e trasformeranno le nuove generazioni in masse disgregate, asociali e isolate ma non solo, potranno determinare l’insorgenza di stati depressivi e attacchi di panico e avranno gravi quanto imprevedibili ripercussioni sulla società intera.

In conclusione, per suggerire un’immagine che possa aiutare nella riflessione, torniamo al mondo delle fiabe. Chi è il lupo cattivo in questa storia? Le istituzioni, l’informazione pilotata, forti poteri economici, sprezzanti della vita delle persone? Crediamo che sia così. Per uscirne, la fiaba ci indica la strada: solo dopo aver compreso con dolore che la nostra “cara nonnina” altro non era che un lupo travestito, seppur fagocitati dalla sua voracità, possiamo ancora attivare quella preziosa funzione psichica che nella fiaba è il cacciatore, ovvero la capacità di informarci, di criticare, di opporci. Sebbene consapevoli di essere già nella pancia del lupo, corrotti e impregnati dei suoi venefici e corrosivi succhi gastrici, abbiamo ancora la possibilità di uscirne in qualche modo.

L’allarme, la paura e l’insicurezza, veleni nei quali ci troviamo drammaticamente immersi nella pancia del “lupo cattivo” possono suscitare il disgusto e la reazione che permetterà di squarciare il velo della menzogna e della manipolazione, che ci aiuterà a ristabilire equilibrio nelle comunicazioni con i nostri figli e che infine ci permetterà di ricominciare a essere per loro le guide buone di cui hanno bisogno per continuare a crescere e trovare la propria strada.

 

Bibliografia

  1. Widmann C. (2004). Le terapie immaginative. Edizioni scientifiche Ma. Gi. srl., Roma.
  2. Betthelheim B. (1975). Il Mondo Incantato. Uso importanza e significati psicoanalitici delle fiabe. Feltrinelli Ed., (Ed. It., 2015).
  3. Spitz, R.A. (1965). Il primo anno di vita: uno studio psicoanalitico di sviluppo normale e deviante delle relazioni oggettuali. New York, International Universities Press.
  4. Bandler R., Grinder J.(1975). La struttura della magia. Casa editrice Astrolabio, Roma, (ed. it.,1981).
  5. McClure Goulding M. e Goulding R. L. (1979). Il cambiamento di vita nella terapia ridecisionale. Astrolabio- Ubaldini editore, Roma (ed. it. 1983).
  6. Harlow H.F., Dodsworth R.O., Harlow M.K. (1965). Total social isolation in monkeys, Proc. Natl. Acad. Sci. U S A.
  7. lo studio dell’Ospedale Gaslini di Genova: http://www.gaslini.org/wp-content/uploads/2020/06/Indagine-Irccs-Gaslini.pdf
  8. Tronic E. (2008). Regolazione emotiva nello sviluppo e nel processo terapeutico. Raffaello Cortina editore, Milano.
  9. https://www.youtube.com/watch?v=apzXGEbZht0

 

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